Un tempo l'ambizione era il suo pane quotidiano, voleva scalare la gerarchia imperiale, persino prendere il posto di Iskra Lisiew ^{CAPITANO DI ZELENKIRCHEN}, ma quando Novigrad ha mosso guerra all'avamposto ha ringraziato la sua buona stella di non dover essere al comando, e non di meno ha maledetto la sua sfortuna per aver visto ogni battaglia e assistito alla caduta dell'avamposto. Cosa desidera adesso? Una fine rapida alla guerra, una posizione più sicura e privilegiata per il suo futuro, e togliere quel sorrisetto di sfida dalla faccia di Fredrick Clovis ^{SERGENTE IMPERIALE} e quell'espressione boriosa da Alexandros Salian ^{CAPITANO IMPERIALE}.

Nell'Impero le reclute vengono chiamate spine: sono un fastidio da avere intorno, ma se potate nel modo giusto possono diventare un'arma affilata. Di norma le reclute non ricevono mai un nomignolo, devono guadagnarselo. Non vede l'ora di riceverlo e di diventare uno dei soldati dell'Impero. Si impegna, ma è la passione per la causa, per la bandiera Imperiale, a guidarne il cuore, o la mera carriera? Segue fin troppo da vicino gli ufficiali, perché non sia la seconda...

Il mondo è diviso, e alla fine di questa guerra non sarà solo un esercito a prevalere, ma anche una cultura, un sistema di valori, un'idea. Per alcuni l'Impero rappresenta una pace finalmente duratura e stabile, che metta a tacere per sempre i litigiosi nobili del Nord e gli ambiziosi e opulenti mercanti di Novigrad, lasciando spazio a potere e ricchezza in mano a nuove famiglie o individui. Per altri l'Impero rappresenta la fine dell'oscurantismo religioso, la possibilità di studiare, conoscere, sperimentare senza paura di finire al rogo, anzi, venendo premiati. Vi è anche chi ha questioni personali in sospeso, con Novigrad o con la Fiamma Imperitura, e appoggiare la vittoria Imperiale significa vendicarsi, o pareggiare i conti. La scelta per alcuni è stata motivata da una profonda convinzione, o dalla convenienza personale, altri hanno semplicemente scelto il male minore tra i due.

Essere diversi è spesso un'onta, una colpa, un peccato, un fardello per se stessi e per chi ci è intorno; sempre è un dolore cocente, un rimpianto, un rimorso o un rancore verso qualcuno che ne fu la causa. Ma purtroppo la sua condizione non è affatto unica, di disgraziati ce ne sono tanti, e in questi tempi disgraziati, i disgraziati non possono fare altro che consolarsi del ''mal comune'', e magari, nell'altrui dolore trovare un senso al proprio.